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MESRINE, L'INSTINCT DE MORT / MESRINE: L'ENNEMI PUBLIC NO.1 Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 maggio 2009
 
di Jean-François Richet, con Vincent Cassel, Cécile de France, Gérard Depardieu, Gilles Lellouche, Roy Dupuis, Elena Anaya, Ludivine Sagnier (Francia, 2008)
 
Quando l'Europa guarda all'America... Certo, Mesrine è un eroe (si fa per dire) francese. O, se preferiamo, alla francese. Criminale dei più violenti oppure Robin Hood che, ci dicono, rapinava, ma solo le banche. Psicopatico sanguinario (anche nei confronti della madre dei propri figli) ma spregiudicato coltivatore del proprio ego carismatico presso i più romantici degli ammiratori delle sue evasioni impossibili, delle sfide ad ogni tipo di ordine generalmente ammesso. Frutto perverso delle torture dell'OAS in Algeria, ma vicino alle Brigate Rosse, prima di una fine clamorosamente mediatizzata, quando le forze dell'ordine lo crivellarono di colpi senza intimazione tra la folla della porta di Clignancourt nel 1997. Per eccellenza, Mesrine è il bandito della Francia.

Ad un personaggio del genere andava cucito un film a esatta dismisura. Un film come sanno fare, appunto, gli americani, alla SCARFACE di Al Pacino, alla de Niro di molti Scorsese. Ci ha pensato un produttore, e di conseguenza il risultato è innanzitutto il prodotto di un produttore. Lungo quattro ore, ma da presentare in due film successivi di due ore e passa ognuno; alla KILL BILL, insomma. Con l'episodio iniziale (MESRINE: L'INSTINCT DE MORT) che finisce per avere il compito prioritario di incitare lo spettatore ad acquistare il biglietto di quello che segue (MESRINE, L'ENNEMI PUBLIC No.1).

Ci riesce? L'energia straordinaria profusa da quella forza digrignante i denti chiamata Vincent Cassel farebbe propendere per l'affermativo. L'arrivo del reduce dall'Algeria presso i genitori borghesi che vorrebbero indirizzarlo all'industria tessile (sic) paterna, l'incontro con il caid della mala interpretato con la solita efficacia da Depardieu, le prima rapine, la fuga nel Quebec, l'imprigionamento nelle carceri di alta sorveglianza (e altissima repressione), il ritorno in Francia costituiscono una prima tappa filante di quelle predilette da un certo pubblico contemporaneo, psicologie spicce, estrema violenza, spettacolarizzazione con sesso e sgommate che eviti eccessivi patemi di comprensione. Perché no, dopo tutto sul filo dell'azione meramente grafica il cinema ha costruito vari capolavori.

Ma il guaio è che né Richet, né tanto meno i suoi sceneggiatori sono all'altezza di quelle ambizioni che pur non sarebbero da sottovalutare. L'approssimazione della regia, la sua scarsa inventiva associata ad una sceneggiatura che finisce per perdere il senso della costruzione nello spazio e nel tempo non solo finiscono per rendere vana l'agitazione volenterosa degli interpreti. Ma per minare la vera ragione di essere di un film su Mesrine: quella di costruirsi sull'ambiguità del personaggio. Un colpo al cerchio della brutalità, un altro alla botte del ma in fondo aveva anche le sue qualità, finisce per sfociare in un'altra sorte di ambiguità. Assai più importante: decidersi fra il bene e il male.


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